Avril. Miniatura gotica. L’arte delle corti 1200-1320.
Generalmente si fa iniziare lo stile gotico nella pittura dei manoscritti agli inizi del Duecento, cioè un’epoca posteriore all’apparizione di questo stile nell’architettura e nella scultura. È un momento in cui c’è un distaccamento progressivo dall’idealismo espressivo dell’epoca romanica verso un’arte che faceva più largo uso di valori umani e espressione dei sentimenti. Questa evoluzione si traduce, sul piano del disegno, in un ammorbidimento/snellimento della linea, che contrasta con il formalismo plastico degli artisti romanici.
L’organizzazione della produzione del libro.
All’origine di questa metamorfosi ci sono delle trasformazioni spirituali, politiche,
sociali ed economiche.
Il nuovo sistema di produzione del libro è basato sulla parcellizzazione dei compiti
prima integrati negli scriptoria monastici.
Parigi a partire dal XIII secolo diventa capitale dell’editoria europea. Nel resto
dell’Europa cristiana, gli altri centri si sono costituiti sul suo modello.
La miniatura non si limita a Parigi alla clientela di insegnanti e studiosi: i miniatori
soddisfavano anche i bisogni della corte e della borghesia, con libri di pietà e testi
profani. Per queste due categorie sociali si sviluppa una produzione di lusso.
La Francia e l’Inghilterra hanno giocato un ruolo guida nell’evoluzione stilistica della
miniatura del XIII secolo. In questa evoluzione la Francia ha largamente attinto agli
scambi continui con l’Inghilterra.
La miniatura parigina.
L’opera più antica in cui appare lo stile gotico nella miniatura francese è il famoso Salterio di Innesburg (335x238 mm; Chantilly; 1200-1210; opera di transizione dallo stile romanico al gotico nella miniatura francese; contiene un ciclo di illustrazioni bibbliche e agiografiche; nonostante alcuni bizantinismi rivela dei segni del netto orientamento del nuovo stile verso un rilassamento delle forme e un tratto meno rigido della figura umana; il blu, il rosso e l’oro sono caratteristici della palette del XIII secolo). Questo manoscritto è importante sia per la novità del suo stile, sia perché è la più antica testimonianza dell’epoca romanica all’alba del gotico, e di una arte di corte di qualità. Le miniature apportano un nuovo tono nella miniatura francese. Il più vecchio dei due artisti che lo realizzano è ancora influenzato da stilemi bizantini, mentre il suo collaboratore, più giovane, ha un disegno più flessibile, meno teso, caratterizzato fa una moltiplicazione dei drappeggi con pieghe più serrate.
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Questo ultimo elemento è all’origine del termine Muldenfaltenstil, usato per definire opere trattate con questo stile, i cui precedenti sono da cercare in alcuni manoscritti eseguiti nella Francia del nord. L’influenza di questo stile si fa sentire nella miniatura parigina della metà del XIII secolo, come testimoniano alcuni manoscritti eseguiti a Parigi tra gli anni 1220 e 1240. Da questo gruppo abbondante e omogeneo emerge il gruppo delle Bibbie Moralizzate, gigantesche composizioni bibliche molto illustrate, realizzate probabilmente per la famiglia regnante francese. In questo stile sono miniati anche diversi salteri di lusso, come il Salterio della regina Giovanna di Navarra o il Salterio della regina Cristina di Norvegia (p. 14) e il Salterio di Sens (p. 15).
Classicismo e manierismo
La supremazia del Muldenfaltenstil sembra essere superata nei manoscritti francesi alla metà del XIII secolo, da uno stile completamente diverso, caratterizzato anch’esso da una particolare fattura dei panneggi: alle pieghe serrate e scanalate case ai miniatori della prima metà del secolo, si preferiscono panneggi ampi e cascanti in cascate (? hahaha). Il più importante rappresentante di questo stile, dal carattere molto più monumentale, è la Bibbia del cardinale Maciejowski (p. 16-19). I 46 fogli di questo manoscritto formano delle illustrazioni bibliche che vanno dalla Genesi alla fine del Regno di Davide (395x305 mm; 1250 ca.; Pierpont Morgan Library). Lo stile di queste pagine, organizzate su due registri, mostra ampi panneggi di effetto più naturale. Il disegno è vigoroso e grande è la precisione dei dettagli tecnici, come si vede nelle armature. La mano dei miniatori di questa Bibbia non si ritrova in altre opere dell’epoca. Le iscrizioni nel margine superiore e inferiore sono state aggiunte in Italia nel XIV secolo. La leggenda in persiano nel margine sinistro sono state aggiunte solo dopo l’invio del manoscritto nel 1608 al re di Persia dal cardinale Berbard Maciejowski. Non si sa ancora con precisione il luogo di produzione di questo manoscritto. Per il trattamento monumentale ed equilibrato della figura umana, per l’armonia del ritmo delle composizioni, per la nuova attenzione accordata ai dettagli tecnici, quest’opera rappresenta quello che possiamo definire classicismo della miniatura francese del XIII secolo. Questo spiega la diffusione che questo stile ebbe in diversi paesi, come Inghilterra, Italia, Spagna e Germania.
A Parigi, lo stile ampio e robusto della Bibbia Maciejowski non sembra che avere un riscontro limitato. Presto la miniatura della capitale si orienta verso uno stile più manieristico, caratterizzato dalla presenza di figure allungate e atteggiamenti spavaldi: è una delle prime manifestazioni di quello stile cortese che appare nel testo profano, il Romanzo de la Poire (p. 21). Il nuovo stile non tarda a conquistare i manoscritti liturgici, come testimoniano i diversi evangeliari della Sainte Chapelle. È fluentemente usato nel terzo quarto del XIII secolo nei Salteri di lusso, come nel Salterio di San Luigi (p. 24-25) alla BNF. Nelle 78 scene bibliche di questo manoscritto (210x145 mm; 1253-1270; BNF; 78 scene dell’Antico Testamento che precedono i Salmi; la raffinatezza dell’esecuzione conferma la destinazione reale del manoscritto, in cui si afferma, con il disegno morbido e l’atteggiamento grazioso dei
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personaggi, un nuovo stile che caratterizza a lungo la miniatura parigina e francese; grande importanza è accordata all’architettura, i cui motivi si ispirano alla Sainte Chapelle), databile tra 1253 e 1270, troviamo un’arte animata da figurine graziose, ma che rasentano a volte la sdolcinatezza. L’influenza di questo stile sulla miniatura parigina fu considerevole: l’arte della capitale diventa per molto tempo sinonimo di raffinatezza, eleganza e buon gusto.
Maitre Honoré
Alla fine del XIII secolo il grande miniatore Honoré è ancora dipendente da questa corrente stilistica. Conosciamo Honoré da una serie di documenti del 1292-1300, dove compare tra i miniatori più tassati. Grazie al Decreto di Graziano della biblioteca di Tours, che è riconducibile grazie a una menzione alla sua bottega, è possibile attribuire a questo artista alcune delle opere più raffinate della fine del XIII secolo: un breviario miniato probabilmente per il re Filippo il Bello e le miniature del Somme le Roi (p. 22-23; 182x120 mm; 1290 ca), trattato didattico e moraleggiante commissionato per Filippo il Bello dal suo confessore frate Laurent. Le composizioni sono sottilmente cadenzate, il disegno è molto morbido e si sviluppa in armoniosi arabeschi, senza però perdere contatto con la realtà che descrive. Altro merito di Honoré è l’aver rotto con l’uso dei colori piatti, usati dai suoi predecessori: i suoi personaggi accuratamente modellati hanno acquisito uno spessore nuovo, e testimoniano di un nuovo interesse per la terza dimensione (rilievo e prospettiva), ma sempre su un fondo decorativo e astratto.
Miniatura inglese
Mentre in Francia troviamo nella miniatura una tendenza all’unificazione, dettata dall’egemonia parigina, in Inghilterra troviamo policentrismo e varietà (centri principali Londra e Oxford). Alla produzione di questi due centri si aggiunge la produzione delle abbazie.
Lo stile gotico in Inghilterra ha le stesse premesse di quello in Francia, cioè dello stile bizantineggiante che alla fine del XII secolo ha soggiogato la pittura occidentale cristiana, portando anche la miniatura alla stessa stilizzazione romanica e alla distensione del disegno.
Nel Salterio di Lindesey del 1240 circa rivela nettamente i primi segni
dell’umanesimo gotico (p. 30-31).
Mathieu Paris è un monaco di Sant’Albans. Suo principale merito è l’aver restituito
valore a un genere che aveva visto eccellere artisti insulari dei secoli precedenti: il
disegno risaltato dal colore.
I tempi d’oro delle botteghe
A partire dal 1250 la miniatura insulare segue una evoluzione parallela a quella della miniatura francese per via degli scambi artistici tra i due paesi.
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Non c’è dubbio che le più raffinate opere insulari illustrate nello stile della Bibbia Maciejowski sono dovute a delle botteghe itineranti per il re e per la sua corte, come indica chiaramente l’Apocalisse di Lambeth, commissionata da Eleonora, una delle dame più importanti della corte d’Inghilterra. In opere come questa, nonostante le certe influenze dello stile francese, la concezione resta tipicamente insulare e il trattamento delle figure assume una dignità monumentale che troviamo raramente nei documenti francesi.
Possiamo osservare l’originalità della miniatura gotica inglese nell’Apocalisse Douce (p. 36-37), eseguita per il futuro Edoardo I, prima della sua ascesa al trono nel 1272. Qui troviamo una interpretazione molto personale dello stile elegante adottato in Francia in opere come il Salterio di Padova o il Salterio di San Luigi (p. 24-25). Questo stile con personaggi che quasi si contorcono per piegarsi ha un eco anche in Francia, p.e. in Honoré che sembra ispirarvisi.
Il manierismo latente dell’Apocalisse Douce appare chiaramente, un decennio più tardi nel Salterio di Alfonso (p. 39), del figlio maggiore di re Edoardo I, realizzato verso il 1281-1284 e nel Salterio Windmill (p. 40) del 1280 ca. Un cambiamento radicale nella mise en page distingue questi due manoscritti da quelli precedenti: le figure monumentali fanno spazio a una moltitudine di personaggi dalle proporzioni minute che sembrano come infagottati da vesti troppo larghe. D’altra parte una nuova attenzione è accordata alla decorazione marginale, dove gli artisti sembrano dare libero sfogo alla loro immaginazione, con rinnovamento nell’invenzione che sul continente troviamo sollo nelle provincie della Francia del nord. Nel Salterio di Alfonso (p. 39) la scena del combattimento tra Davide e Golia è collocata nel margine inferiore, tra diversi tipi di volatili. Nel Salterio Windmill (p. 40) un mulino a vento, che da il nome al manoscritto, accompagna la scena del Giudizio di Salomone, scena che si distacca su un fondo di fogliame realizzato con inchiostri colorati e filigrane rosse e blu, che delineano anche delle foglie di acanto. L’originalità del nuovo stile elaborato dai miniatori delle botteghe franco-inglesi si ritrova in echi nel resto d’Europa.
Miniature in Castiglia
A differenza dei paesi dell’Impero, la Spagna cristiana era in stretti rapporti politici e culturali con le due grandi monarchie settentrionali e quindi era più adatta a subire l’influenza del nuovo stile elaborato nelle botteghe franco-inglesi. Questo stile però entra molto lentamente per via della sopravvivenza, nella prima metà del XIII secolo, di un’arte autoctona profondamente attaccata alle tradizioni formali ereditate dall’epoca romanica. È solo dalla metà del secolo che appaiono le prime rappresentazioni in stile gotico nella penisola iberica, di cui abbiamo un esempio nella serie di manoscritti eseguiti tra 1270 e 1280 per il re di Castiglia, Alfonso X detto il Saggio. Era parente di San Luigi, che gli fece dono della magnifica Bibbia Moralizzata oggi alla cattedrale di Toledo. Alfonso era un gran letterato, come vediamo nella sua raccolta di Canti dedicati alla Vergine (p. 44-45; 503x338 mm; Escorial). Ogni canto è preceduto da una composizione a piena pagina divisa in 6
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riquadri divisi da una cornice a mosaico. Queste immagini inaugurano nella miniatura gotica una corrente propriamente mediterranea che caratterizza un gusto per l’osservazione veridica dell’uomo e della natura, con anche gran valore documentario delle scene di vita quotidiana. Un precedente francese si può in qualche modo identificare con le possenti composizioni della Bibbia Meciejowski più che con il Salterio di San Luigi (stile cortese ed elegante). Queste miniature si avvicinano per il sentimento della natura e la robustezza dei personaggi a certe opere dell’Italia meridionale, come il Trattato sulla falconeria (p. 49) di Federico II (BAV).
Miniatura in Catalogna
Oltre alla Castiglia, l’unica regione spagnola importante per la produzione miniata è la Catalogna, possedimento della monarchia aragonese e centro di una importante attività marittima e commerciale. Grande influenza sugli artisti catalani ebbe lo stile della miniatura parigina intorno al 1300 (p.e. Honoré), come testimonia il manoscritto con gli Usi di Barcellona, della fine del XIII secolo (p. 48). Questo stile francese persiste in Catalogna fino alla metà del XIV secolo, quando viene soppiantato dall’influenza italiana.
Miniatura italiana
La miniatura italiana del XIII secolo presenta una varietà che corrisponde alla frammentazione politica della penisola e che riflette la sua situazione culturale. Possiamo distinguere due grandi correnti in questo periodo. La prima, nell’orbita francese, si fa sentire nel Meridione e nella Campania, dove nella seconda metà del secolo si scontrano due dinastie straniere, gli Hoenstaufen e gli Angiò (che poi hanno il sopravvento). Prima della vittoria degli Angiò l’Italia meridionale appare come una regione cosmopolita, praticante una sorta di sincretismo culturale e artistico, la cui origine risale al regno di Federico II.
Italia del Sud
All’inizio, come nel resto dell’Italia, la miniatura meridionale si rivela ancora profondamente influenzata dallo stile e dalla tecnica bizantine. La preminenza bizantina viene rimpiazzata, sotto il regno di Manfredi, ultimo degli Hoenstaufen, dallo stile gotico settentrionale, come testimoniano le due grandi opere miniate del periodo: una copia del Trattato sulla falconeria (p. 49) di Federico II realizzata per suo figlio Manfredi (manoscritto realizzato in campania) e il poema di Pietro d’Eboli sui Bagni di Pozzoli (p. 50). Con il loro trattamento grafico e lineare e i loro colori piatti, le pitture di questi due manoscritti riprendono l’estetica delle botteghe franco- inglesi, pur conservando una forte colorazione locale. Due tratti li distinguono dalle opere nordiche: una tendenza al monumentale che si esprime in particolare nei tipi umani dalle forme massicce e robuste; e una grande attenzione per la rappresentazione del mondo naturale.
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La stessa dualità (adesione allo stile gotico ma interpretata nel rispetto della
tradizione autoctona) si ritrova anche in un gruppo di Bibbie realizzate nello stesso
periodo in una bottega napoletana, dove però non troviamo grandi composizioni a
piena pagina, ma iniziali istoriate il cui repertorio ornamentale ha una forte influenza
nordica.
La penetrazione di questo stile gotico settentrionale nell’Italia meridionale però fu
solo precario e passeggero. Già nella poco posteriore Bibbia di Corradino (p. 51)
troviamo un forte ritorno dello stile bizantineggiante nella miniatura nel sud della
penisola.
Padova e Bologna
Diversa è a situazione in Emilia Romagna e nell’Italia del nord-est.
A Bologna, sede di una importante università specializzata nel diritto, il commercio e
la produzione del libro si organizzò sul modello parigino.
Senza dubbio i manoscritti usciti dalle botteghe emiliane a partire dalla metà del XIII
secolo sono influenzati in parte dalla miniatura nordica con le loro tinte piatte e i loro
repertori di figure grottesche utilizzate nei margini. Questa influenza non fu tuttavia
che superficiale e di breve durata, perché fin dall’ultimo quarto del secolo si assiste,
nelle opere bolognesi, a un ritorno trionfale delle figure bizantineggianti. Forse
furono influenzati verso questo nuovo orientamento dall’esempio di Padova e
soprattutto Venezia, porto tradizionalmente aperto sull’oriente e in rapporti stabili
con il mondo bizantino.
Fin dal 1260 circa la miniatura padovana presenta una fedeltà allo stile bizantino
nell’Epistolario della Biblioteca capitolare di Padova (p. 52), sottoscritta dal copista
Giovanni di Gaibana. L’esempio padovano sarà ripreso con lievi differenze e
‘truccato’ (portato?) all’estremo in un gruppo di manoscritti prodotti dalle botteghe
bolognesi alla fine del secolo, gruppo costituito essenzialmente da bibbie e salteri, tra
cui il Salterio di Padova (p. 53; 135x105 mm; ultimo quarto del XIII secolo; presenta
illustrazioni della vita e della passione di Cristo; il trattamento molto pittorico delle
figure distingue quest’opera da quelle nordiche; adesione quasi totale allo stile e alla
tecnica delle opere bizantine (sia sul piano stilistico che iconografico), la cui
influenza si riafferma a partire dai due principali centri dell’Italia del nord-est:
Venezia e Padova; a volte si è messa in relazione questa apparizione dello stile
bizantino nelle botteghe bolognesi con la personalità del miniatore Oderisi da
Gubbio, celebrato da Dante). La tecnica pittorica molto sapiente e la qualità plastica
di questi miniatori annuncia le ricerche dei grandi innovatori toscani che
sconvolgeranno presto l’evoluzione della pittura monumentale.
Miniatura gotica nel XIV secolo
Tanto il XIII secolo consacra il trionfo dello stile lineare elaborato nelle botteghe franco-inglesi, quanto il secolo successivo appare dominato dalle innovazioni tecniche e plastiche introdotte in occidente dai pittori italiani.
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Il nuovo linguaggio pittorico elaborato dai maestri del Trecento, in particolare dal senese Duccio e dal fiorentino Giotto, tende ormai a divenire l’elemento unificatore della pittura europea, sostituendosi a poco a poco al tratto grafico e ai colori piatti delle opere del secolo precedente.
Miniatura a Firenze e a Siena
Come è naturale, fu dopo le miniature italiane che l’influenza del nuovo stile pittorico si farà sentire più profondamente e generalmente. Come nel secolo precedente, la miniatura italiana presenta un mosaico di stili regionali ben caratterizzati, il cui unico denominatore comune è la loro adesione al nuovo linguaggio formale creato dai grandi artisti toscani.
A Firenze, uno dei primi artisti ad assimilare la lezione della pittura giottesca è il
miniatore Pacino di Bonaguida, a cui è attribuita una Bibbia alla Trivulziana a Milano
e una raccolta di immagini della vita di Cristo nella Pierpont Morgan di New York.
Le miniature fiorentine della generazione seguente appaiono influenzate da uno dei
migliori discepoli di Giotto, Bernardo Daddi, il cui stile monumentale influenza una
serie di manoscritti liturgici, così come una delle creazioni più originali della
miniatura toscana del secondo quarto del secolo; il Biadaiolo (p. 57) della
Laurenziana. Questo trattato, di interesse soprattutto economico in cui autore
Domenico Lanzi ha registrato le variazioni del prezzo dei cereali a Firenze dal 1320
al 1335, è accompagnato da una serie di riquadri molto animati che evocano la vita
commerciale fiorentina e forniscono un interessante visione topografica della città in
quest’epoca. Nell’immagine a p. 57 viene descritta una distribuzione del grano nel
corso di una carestia. L’edificio a pinnacolo allude al tabernacolo dell’Orsanmichele.
Nel cielo c’è una scena allegorica con un angelo, simbolo della prosperità, che si
allontana lasciando spazio al demone della carestia. Queste miniature sono tra le più
antiche testimonianze dell’influenza giottesca nella miniatura fiorentina.
Le miniature del grande centro toscano rivale di Firenze, Siena, appaiono legate
all’arte dei migliori pittori della città, Simone Martini, i fratelli Lorenzetti e i loro
imitatori. Il primo ha anche realizzato delle miniature, come testimonia la superba
pagina da lui dipinta nelle Opere di Virgilio di Petrarca (p. 55; 295x200 mm; 1340
circa; Virgilio che compone in presenza del suo commentatore Servio e degli eroi
delle sue opere, Enea e i pastori delle Bucoliche e delle Georgiche; miniatura dipinta
da Petrarca ad Avignone) conservata nell’Ambrosiana di Milano.
Una dei migliori miniatori italiani del XIV secolo, l’illustratore del Codice di San
Giorgio (p. 56; 372x252 mm; secondo quarto del XIV secolo) della BAV sembra
aver fortemente sentito l’influenza del grande maestro senese e può essere ricollegato
all’area d’influenza senese, anche se fu un artista itinerante, particolarmente legato al
servizio di un importante dignitario della curia pontificale, il cardinale Jacopo
Stefaneschi. Nella scena del combattimento di san Giorgio con il drago l’artista ricrea
l’atmosfera di eleganza cortese caratteristica del clima artistico senese dell’epoca. A
questo miniatore si deve la decorazione di una serie di manoscritti liturgici destinati
al cardinale Jacopo Stefaneschi. Non è da escludere che questa rappresentazione sia
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una citazione dell’affresco oggi disperso realizzato da Simone Martini nella chiesa di
Notre Dame d’Avignone.
Altro miniatore la cui carriera si è svolta esclusivamente a Siena è Niccolò di Ser
Sozzo Tegliacci, artista di cultura meno internazionale, che sembra essersi
specializzato nell’illustrazione di voluminosi manoscritti liturgici. La sua opera più
nota, una Assunzione dipinta in testa del Caleffo Bianco dell’Archivio di Siena,
mostra un miniatore nettamente influenzato dai Lorenzetti.
Miniatura a Bologna e a Padova
A Bologna e nell’Italia del nord-est, a Padova e a Venezia, la miniatura presenta una evoluzione particolare: quella di Bologna resta a lungo vincolata allo stile bizantineggiante che si impose alla fine del XIII secolo, ed è solo poco prima della metà del Trecento che le opere provenienti dalle botteghe emiliane si mostrano influenzate dal rinnovamento culturale apportato dai toscani.
Andrea di Bartoli, probabile autore delle illustrazioni della Canzone delle Virtù
dedicata a Bruzio Visconti (oggi a Chantilly), e il prolifico Niccolò di Giacomo (p.
61) rinunciano allo stile antiquato e provinciale dei loro predecessori per adottare il
linguaggio plastico della pittura monumentale. Soprattutto il secondo, artista prolifico
che dominerà la miniatura bolognese dal 1350 circa fino alla sua morte nel 1394, ha
lasciato considerevoli opere, illustrando manoscritti giuridici, antifonari, graduali,
libri d’ore, messali e testi di autori classici in uno stile robusto e fitto/folto.
Come a Bologna, i miniatori padovani, in apparenza molto influenzati dai vicini
emiliani, si mostrano relativamente conservatori, nonostante il passaggio di Giotto,
che ha creato a Padova uno dei complessi maggiori con la cappella degli Scrovegni.
Bisogna aspettare il terzo quarto del XIV secolo per vedere i miniatori padovani
liberarsi dello stile arcaizzante bolognese. Questa è l’epoca in cui Francesco Carrara,
signore di Padova, chiamò nel suo stato il grande poeta Petrarca, grande ammiratore
di Giotto e Simone Martini e quindi probabilmente non fu estraneo al rinnovamento
dell’arte pittorica a Padova. A questo rinnovamento contribuì più di tutti il veronese
Altichiero, cui sono attribuite due allegorie della gloria dipinte in testa degli
esemplari del De viris illustribus di Petrarca (eseguito verso il 1380) oggi alla BNF.
Ormai Padova è libera dalle influenze della fino ad allora predominante miniatura
bolognese e si afferma, insieme a Milano, come il più originale centro del nord Italia.
Arte alle corti di Napoli e Milano
Molto più precoce fu la trasformazione della miniatura a Napoli e a Milano, dove il
mecenatismo delle due potenti dinastie, la casa d’Angiò a Napoli e i Visconti a
Milano, ci hanno lasciato molti capolavori.
I legami francesi degli Angioini e la situazione strategica della Lombardia, crocevia
tra Europa settentrionale e Italia, hanno senza dubbio contribuito all’apertura di
questi due grandi centri alle influenze straniere, il cui timbro vediamo nelle opere.
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Con il regno di Roberto d’Angiò (1317-1343) coincide il rinnovamento della
miniatura napoletana. Sotto questo monarca letterato e amante delle arti, Napoli
conosce una rinascita d’attività senza precedenti, ospitando alla corte angioina artisti
come Cavallini, Giotto e Simone Martini. Alla scuola di questi maestri si formarono
una serie di importanti pittori, come il frescante Roberto d’Oderisio, le cui opere
presentano delle sorprendenti similitudini con i manoscritti napoletani coevi. Questo
stile monumentale e plastico, derivato dalla pittura monumentale toscana, lo
ritroviamo trasposto in diversi manoscritti eseguiti per Roberto d’Angiò e la sua
corte. Il più importante è la Bibbia di Nicola d’Alife (p. 62; 420x280 mm; 1340
circa), oggi alla biblioteca universitaria di Lovanio, in Belgio (e un tempo a Malines).
Due monumentali composizioni a piena pagina introducono il volume. Se lo stile di
queste due immagini è nettamente di ascendenza toscana, tipo giottesca, questa
Bibbia è importante anche per la sua decorazione marginale, che, sebbene trasposta in
un linguaggio pittorico propriamente italiano, è comunque d’ispirazione nordica: gli
ibridi e i mostri che ornano i suoi margini sono uno dei più evidenti sintomi del
cosmopolita ambiente artistico che regnava allora alla corte angioina. La Bibbia si
apre con due miniature a piena pagina con la gloria di Roberto d’Angiò e della sua
genealogia. Ogni re è rappresentato regnante insieme alla consorte e attorniato da
membri della sua famiglia e della sua corte. Il carattere genealogico dell’immagine è
rinforzata da elementi araldici usati sui fondi e sui panneggi. Le figure principali,
modellate con forza, testimoniano l’influenza dell’arte giottesca nell’ambiente
napoletano.
L’attività della bottega da cui è uscita la Bibbia di Nicola d’Alife sembra lavorare fino
all’inizio degli anni 1370, come testimonia il manoscritto degli Statuti dell’Ordine
del Nodo (p. 63; 360x260 mm; Napoli; 1352; oggi alla BNF), magnificamente
miniato in occasione della fondazione nel 1352, da parte di Luigi di Taranto (secondo
marito di Giovanna d’Angiò), di quest’ordine creato a imitazione degli ordini
cavallereschi francesi. Lo sviluppo della miniatura napoletana subisce una brutale
interruzione verso il 1370-1380, a seguito dei gravi problemi politici che segnarono
la fine del regno di Giovanna di Napoli.
A Milano, come a Napoli e nelle altre corti dell’Italia del nord, il prestigio della
letteratura francese è attestato dall’esecuzione di copie riccamente illustrate di
romanzi cavallereschi. Milano non ignorerà le profonde trasformazioni introdotte
nella pittura dai grandi innovatori toscani: tra le prime opere miniate nel nuovo stile
c’è una copia del Liber Pantheon (p. 66) di Goffredo di Viterbo (XII secolo), eseguita
nel 1331 per Azzone Visconti. Due artisti si sono suddivisi l’illustrazione del
manoscritto: il primo, la cui parte si riduce ai primi fogli del volume, è ancora
sensibilmente dipendente dallo stile bolognese; ma il suo collaboratore interpreta con
originalità la lezione giottesca (liberatosi dell’influenza del grafismo senza spessore
della miniatura gotica settentrionale, e della rigidezza solenne delle opere bizantine,
questo illustratore ha saputo narrare con grande vivacità l’episodio della morte di
Giuseppe; questo artista è importante per la sua audace concezione della mise en
page: l’immagine invade tutto lo spazio lasciato per la scrittura; la scena con la
processione, trattata con una stupefacente conoscenza della profondità spaziale,
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straborda nei margini collegandosi alle altre due illustrazioni contenute nel testo). Eppure questo artista non sembra aver avuto un seguito, e la produzione milanese, eccezion fatta per alcune creazioni secondarie, conosce un periodo di stagnamento, da cui uscirà negli anni 1370-1380. A questo periodo è datata una serie di lussuosi manoscritti liturgici che presentano già diversi tratti caratteristici della miniatura lombarda della fine del secolo, come p.e. il Libro d’Ore di Bianca di Savoia (oggi a Monaco), compagna di Galeazzo II Visconti, sottoscritto da Giovanni di Benedetto da Como, artista cui si attribuisce un analogo libro d’ore conservato a Modena.
La letteratura francese ebbe grande successo alla corte milanese, come testimonia p.e. il Guiron le Courtois (p. 64; 380x275 mm; oggi alla BNF; Milano; 1370-80).
Miniatura in Catalogna
Al di fuori dell’Italia, il nuovo stile pittorico toscano esercita molto presto una
sensibile influenza sulla pittura del resto d’Europa. Naturalmente quest’influenza fu
più forte nel sud del Mediterraneo, a iniziare dalla Catalogna, dove si elabora un
nuovo stile profondamente influenzato dal linguaggio plastico italiano. Due
manoscritti miniati uno nel 1334 e l’altro nel 1337 segnano l’abbandono da parte
delle botteghe dell’estetica francese e il loro passaggio nell’area di influenza italiana:
il Libro dei Privilegi di Mallorca e le Leggi palatine di Mallorca (p. 67-69; 403x255
mm; Mallorca; 1337; oggi a Bruxelles). Quest’ultimo manoscritto è testimone della
penetrazione dello stile toscano nell’ambiente della miniatura ispanica. Malgrado una
prospettiva ancora esitante, l’artista ha saputo creare una certa illusione spaziale.
Italianizzante è anche il trattamento degli elementi architettonici.
Più decisamente italianizzanti sono i manoscritti prodotti a Barcellona nello stesso
periodo. Il più importante ciclo di miniature di questo gruppo si trova nel famoso
Salterio di Canterbury (p. 70-71; 480x325 mm; Catalogna; metà o terzo quarto del
XIV secolo; oggi alla BNF), manoscritto di origine inglese la cui illustrazione,
rimasta incompiuta, fu completata a Barcellona alla metà del secolo, interpretando in
modo originale la lezione italiana. Malgrado un uso eccessivo dei fondi oro, l’artista
si rivela un attento osservatore della natura: evocando le sei piaghe d’Egitto ha saputo
descrivere anche la grandine, fenomeno atmosferico mai rappresentato prima di lui se
non dal senese Ambrogio Lorenzetti. La tavolozza dell’artista presenta colori dalle
tinte tenui e sfumate.
L’evoluzione della miniatura in Francia e Inghilterra, paesi il cui ruolo fu decisivo nel
secolo precedente nell’elaborazione dello stile gotico lineare, non possono ridursi ad
un’adesione senza riserve alla nuova maniera italiana, troppo contraria alle tradizioni
autoctone.
Questa maniera italiana gioca comunque un ruolo incontestabile e influente nelle trasformazioni stilistiche che si fanno sentire nella miniatura settentrionale nel corso del XIV secolo.
Miniatura in Francia
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In Francia, lo stile dei miniatori resta relativamente poco influenzato dalle innovazioni transalpine fino al 1325-1330 circa. Lo stile di Honoré continua a imporsi nelle botteghe parigine, dando vita a opere come la Bibbia di Jean de Papeleu. Le miniature della Vita di san Denis (p. 72-73), manoscritto realizzato nel 1317, se da una parte mostrano una rottura con l’arte elegante e graziosa di Honoré e dei suoi continuatori, sono comunque trattati con uno stile fermamente lineari, senza alcuno sforzo di evocare la profondità spaziale. L’artista rappresenta al margine inferiore di alcune raffigurazioni delle scene di vita quotidiana, in cui troviamo attività artigianali esercitate e Parigi all’inizio del XIV secolo. Come reazione allo stile flessibile e morbido di Honoré, Pucelle utilizza un tratto rigoroso e senza fronzoli, mettendo in risalto le forme essenziali di queste figure, servendosi di un modello semplificato di un effetto molto sculturale.
Bisogna aspettare un artista come Jean Pucelle per vedere un primo e decisivo tentativo di applicazione dei principi italiani nella miniatura francese. Lavorando essenzialmente per una clientela principesca, Pucelle ci ha lasciato una serie di capolavori che permettono di seguire la sua evoluzione, che lo portò da una pura tradizione gotica settentrionale a una assimilazione selettiva e intelligente della lezione della pittura d’oltralpe. Questa assimilazione è particolarmente evidente nel Libro d’Ore di Jeanne d’Evreux (sposa di Carlo il IV) (p. 74; 90x60 mm; Parigi; 1325-1328 circa). Prestiti italiani in questo manoscritto: Pucelle dà una interpretazione molto personale del modello iconografico senese e precisamente ducciesco; ambienta per la prima volta in Francia certe innovazioni plastiche e formali di origine transalpina, strutture architettoniche in forte rilievo, creando l’illusione di volume e spazio. Certe evocazioni architettoniche sono talmente toscane da implicare un soggiorno dell’artista in Italia. Pucelle ha comunque saputo preservare il disegno al ritmo elegante e al tratto impeccabile che deve alla sua formazione francese, e non rinuncia alle fantasie marginali case alla sensibilità nordica. Realizza le raffigurazioni in grisailles, con sfondi colorati realizzati come smalti. Troviamo una particolarità: la Crocifissione fronteggia una raffigurazione dell’Adorazione dei Magi, scena accompagnata sotto da una scena della Strage degli Innocenti.
L’arte di Pucelle ha largamente dominato la miniatura parigina del secondo quarto del XIV secolo. La sua influenza è continuata grazie a un suo allievo, che fu successivamente al servizio di Carlo il V, per cui realizzò un Breviario, e di suo fratello Jean, duca di Berry, per cui realizza in parte le Petit Heures (p. 112; oggi alla BNF; 215x145 mm; 1390 circa). Questo artista è identificabile probabilmente con un artista di corte menzionato in diversi documenti dell’epoca: Jean Le Noire.
Una delle sue opere più precoci (verso il 1340) è il Libro d’Ore di Jeanne de Navarre (p. 75; 180x135 mm; 1340 circa; oggi alla BNF), dove realizza le illustrazioni dell’Ufficio della Vergine e la Passione. Dietro a un’apparente sottomissione allo stile di Pucelle, Le Noir mostra una personalità originale, e manifesta una propensione all’espressività teatrale, che è all’opposto della calma e dell’autocontrollo del suo maestro.
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Apparizione di una corrente naturalistica
Un’altra corrente stilistica comparve nel frattempo nella miniatura parigina alla metà del XIV secolo: distaccandosi dallo stile elegante e preciso di Pucelle e seguaci, gli artisti iniziarono a rappresentare la natura e l’umanità che la abita in modo empirico. Forse un focolaio franco-germanico è stato nella formazione di questa nuova arte che possiamo già definire naturalistica: è sorprendente in ogni caso trovare a Burges e a Tournai dei manoscritti di epoca leggermente anteriore che riflettono le stesse tendenze, come il famoso Roman d’Alexandre (p. 76; 490x295 mm; 1344; oggi a Oxford). La nuova visione naturalistica trova molto presto a Parigi un grande propagatore con il miniatore di un manoscritto con le opere di Guillaume de Machaut (p. 77-79; 300x210 mm; 1350-1355; oggi alla BNF). Nel Rimedio della Fortuna questo artista ha saputo servire le evocazioni cortesi del poeta senza mai venir meno al suo proprio ideale artistico: rinunciando al canone idealizzato diffuso da Pucelle, egli cerca di mettere in risalto i particolari fisici dei suoi personaggi, che inserisce in cornici dove la natura ha un ruolo crescente. Questa visione empirica e senza pregiudizi della realtà non impedisce all’artista di mettere a frutto le scoperte italiane: come Pucelle, ma con dei mezzi di espressione diversi, egli dà grande importanza ai volumi e allo spazio. Lo stile di questo miniatore eserciterà una influenza di lunga durata sulle miniature del tempo di Carlo V, che devono a lui questo gusto per i dettagli della moda e le rappresentazioni idilliche della natura.
La miniatura sotto il regno di Carlo V
I manoscritti miniati per questo sovrano, dotto e bibliofilo, sono lontani
dall’eguagliare le opere del Maestro del Rimedio della Fortuna e segnano anche una
regressione per quanto riguarda i problemi di evocazione dello spazio. Questi
manoscritti ricercano comunque le ricerche di questo maestro di una interpretazione
veridica e senza deviazione del mondo reale e della natura: stessa attenzione ai
dettagli della moda, stessa insistenza sulle particolarità fisiche dei personaggi e delle
loro imperfezioni. La moltiplicazione dei cicli di immagini testimonia questo
interesse per il momento presente e le caratteristiche individuali. Si è quasi tentati di
dire reportage, per certi eventi memorabili del regno, come le illustrazioni che
ritraggono lo svolgimento della cerimonia dell’incoronazione di Carlo V. Numerosi
artisti hanno lavorato per Carlo V, tra cui il miniatore della Bibbia di Jean de Sy (p.
86; 420x300 mm; Parigi; 1355-1357; oggi alla BNF), opera rimasta incompiuta dopo
l’imprigionamento di Jean le Bon, cui il trattato era destinato. Nella produzione
abbondante ma monotona di questo artista, si distingue un vivo sentimento della
natura che si esprime nelle composizioni con un certo effetto decorativo, come nella
bella miniatura che serviva da frontespizio al Sogno nel Frutteto di Carlo V (p. 87;
315x240 mm; fine del XIV secolo; British Library).
Se guardiamo la produzione provinciale, troviamo un’evoluzione parallela a quella di
Parigi, ma spesso con un certo divario.
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In linea generale, i miniatori settentrionali si mostrano si un ostinato
conservatorismo, e restano relativamente poco influenzati dal rinnovamento dei
mezzi di espressione pittorica introdotti dall’Italia: è vero che all’epoca i migliori
talenti erano attratti dall’influenza della capitale.
Anche nella Francia del sud, dove per via della presenza del papato Avignone
divenne un importante focolare di arte largamente aperto alle influenze transalpine, i
minatori rimasero a lungo fedeli allo stile lineare e piatto del secolo precedente. Solo
alla fine del secolo la situazione si evolverà e la miniatura avignonese conoscerà uno
sviluppo tardivo e effimero.
Miniatura inglese
L’Inghilterra aveva delle tradizioni troppo vivaci per poter accogliere
immediatamente le innovazioni italiane. I miniatori del primo quarto del XIV secolo
continuarono sulla linea dei loro predecessori e affermarono la loro insularità in una
notevole serie di manoscritti di lusso, principalmente dei salteri destinati alle abbazie
o alle chiese nell’est del paese.
Questi manoscritti si caratterizzano per l’importanza quasi stravagante della
decorazione marginale: animali e piante trattati con un intenso sentimento della vita
si aggrovigliano nei margini, formando composizioni che rivaleggiano per
complessità e immaginazione con le decorazioni dei manoscritti insulari dell’Alto
Medioevo. Tra le rappresentazioni più caratteristiche di questo East Anglican Style,
c’è il Salterio Gorleston (p. 88; 374x235 mm; 1325) e il Salterio Ormesby (p. 89-93;
380x250 mm; oggi a Oxford). Malgrado il loro aspetto tipicamente inglese, questi
due manoscritti presentano degli italianismi, che presuppongono la conoscenza dei
modelli transalpini, come nel caso della crocifissione aggiunta verso il 1325 in testa
al Salterio Gorleston (p. 88).
Accanto al gruppo degli East Anglia, altre opere testimoniano l’attività di botteghe
che si tende a localizzare a Londra e che lavoravano al servizio della corte. Tra
questi, la bottega del Maestro del Salterio della regina Mary (p. 94; 275x175 mm;
1310-1320 circa; oggi alla British Library). Alle lettere istoriate e alle cornici
esuberanti dell’East Anglia, il Maestro del Salterio della regina Mary e i suoi
collaboratori preferiscono composizioni a piena pagina dai toni leggeri, secondo una
tecnica tradizionale in Inghilterra e ritornata nel secolo precedente. Le figure,
delicatamente disegnate, presentano dei rapporti evidenti con le opere parigine della
stessa epoca, come in questa Adorazione dei Magi, dove le figure si muovono con
una eleganza e grazia un po’ in contrasto con la pesantezza dei colori, dove
predominano un rosso violento e un blu.
Lo stile di quest’opera presenta, d’altra parte, dei rapporti con i miniatori parigini del
primo quarto del XIV secolo, che si spiegano con le strette relazioni che univano
allora la dinastia inglese con i Capetingi. Un altro aspetto dell’arte della corte
dell’Inghilterra è quello che vediamo nel Salterio di Roberto di Lisle (p. 96; 338x225
mm; 1330 circa; oggi alla British Library). Due artisti ben distinti hanno collaborato a
questo manoscritto: al disegno fornito di dotti arabeschi del primo artista, si
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oppongono le equilibrate e solide composizioni del secondo, il cui stile sembra
indicare un miniatore di formazione francese, abbastanza influenzato dall’arte di
Pucelle.
La metà del secolo segna, come in Francia, un importante spartiacque nella miniatura
inglese. Mentre la corrente East Anglia si indebolisce dando vita a opere di stile
rinsecchito, sebbene espressivo, come il Salterio Fitzwarin (p. 95; 315x210 mm;
metà del XIV secolo; oggi alla BNF); fa comparsa una nuova generazione di artisti,
che cercano il rinnovamento ispirandosi, sebbene ancora timidamente, allo stile
italiano.
Solo nei manoscritti del terzo quarto del secolo la tradizione insulare e gli elementi italiani si fonderanno in maniera armoniosa. A quest’epoca sono datati molti libri d’ore e salteri eseguiti per diversi membri della famiglia Bohun (es. p. 97). Le composizioni monumentali fanno spazio a delle miniature dal formato ridotto, ormate da architetture dai pinnacoli complessi e pullulanti di piccoli personaggi, secondo una formula che appare già in alcuni manoscritti del tardo East Anglia Style.
Miniatura germanica
La miniatura dei paesi germanici ha conosciuto nel XIV secolo una radicale
trasformazione sotto l’influenza congiunta dell’arte franco-inglese e italiana. È solo a
partire da quest’epoca che la Germania esce dal suo isolamento e partecipa
interamente allo sviluppo della miniatura gotica. Questo termine descrive in
Germania una realtà complessa e variegata, a riscontro del frazionamento politico del
gigantesco agglomerato che costituiva il Sacro Romano Impero Germanico. La sua
evoluzione non è continua come in Francia o in Inghilterra, dove vigeva l’elemento
stabile e unificatore della monarchia. Solo la Boemia conosce per un periodo
abbastanza limitato (1350-1420 circa) una situazione comparabile, grazie alla
presenza di una corte che esercitava ruolo di mecenate come in Francia e in
Inghilterra. Lo stile e le mode decorative dei manoscritti francesi si fanno sentire solo
dalla fine del XIII secolo, prima nella regione renana.
La personalità dominante nella miniatura tedesca del nord ovest durante il secondo
quarto del XIV secolo fu il maestro anonimo che miniò nel 1334 una copia del
Romanzo di Willehalm. Questo artista sembra avere una carriera itinerante, dato che
lo ritroviamo in un graduale dell’abbazia svizzera di Wettingen, dove collabora con
un miniatore francese formato nell’ambito di Pucelle. L’arte del maestro del Codice
di Willehalm mostra evidenti affinità con alcune produzioni inglesi del primo quarto
del secolo, come testimonia il foglio staccato del museo di Berlino con San Michele
che uccide il drago (p. 98; verso il 1300), trattato con un lirismo lineare che non ha
eguali se non con il Primo Maestro del Salterio di Roberto de Lisle (p. 96).
È nella regione della Svizzera tedesca che la miniatura germanica dà vita alle sue
creazioni più originali, come una copia di un Poema su Carlo Magno di Stricker (p.
100) e la Raccolta di Minnesanger o Codice Manesè (p. 101; 355x250 mm; Zurigo
verso il 1300; ogni opera è accompagnata dalla rappresentazione del suo autore), che
rappresentano lo stile di questa regione e si distinguono per la morbidezza
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tipicamente gotica del disegno, messa al servizio di tendenze espressionistiche
proprie del temperamento germanico.
Si osserva la stessa conversione allo stile gotico lineare nel sud est dell’impero,
specialmente nell’Austria, dove la prosperità delle abbazie contribuì a un
rinnovamento della miniatura locale.
Miniatura alla corte della Boemia
La Boemia entra nell’orbita dello stile gotico. La miniatura ceca conobbe un grande periodo sotto l’impero di Carlo IV di Lussemburgo (1355-1378) e Praga arrivò al rango delle altre grandi metropoli artistiche. La corte di Carlo IV stimolò un’arte distaccata da tutti i provincialismi e che con la sua originalità influenzò le regioni limitrofe. Come la pittura, la miniatura boema al tempo di Carlo IV testimonia una profonda conoscenza delle concezioni plastiche e spaziali introdotte dai pittori italiani del Trecento, dovuta ai frequenti soggiorni dell’imperatore e della sua corte nella penisola e alla presenza di opere italiane.
Il Liber Viaticus (p. 102; 425x310 mm; Praga verso il 1360) fu eseguito verso il 1355 e 1360 per il cancelliere imperiale. In esso si combinano una evidente influenza italiana e le tendenze naturalistiche proprie del temperamento nazionale, che portano a uno stile che presenta un certo parallelismo con quello dei miniatori che lavoravano alla corte di Francia nello stesso periodo. In questa opera, a partire da elementi improntati parzialmente all’Italia (come le bordure vegetali e i fondi ad arabeschi dorati), ma anche alla Francia (scene nel margine inferiore posate sulle cornici), l’artista ha saputo forgiare uno stile originale, che conoscerà una sua evoluzione propria e influenzerà tutta la miniatura dell’Europa centrale. Troviamo qui la scena principale incastonata in una iniziale a monocromo contenente due personaggi, secondo un tipo di iniziale che sarà poi imitata in Lombardia e in Francia. L’influenza della miniatura boema si affermerà molto presto, specialmente in Ungheria, fino ad allora quasi completamente dipendente dalla miniatura veneto- padovana, ma anche e soprattutto in Austria, dove dal 1368 il duca Alberto III, genero dell’imperatore Carlo IV, commissiona al miniatore praghese Jean de Troppau un sontuoso Evangeliario (p. 104; oggi a Vienna).
Lo stile gotico internazionale. 1380-1420
Alla fine del XIV secolo comincia a instaurarsi un certo equilibrio degli scambi
artistici.
Nell’Europa del nord, le conquiste italiane dell’ambito della plastica sono ormai
generalmente riconosciute e fanno parte del comune bagaglio culturale. Il dominio
delle nozioni di volume e spazio ha permesso agli artisti nordici di arricchire i loro
mezzi espressivi e di sviluppare il loro innato talento per l’osservazione empirica
della natura.
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Al contrario, in alcuni centri italiani, specialmente al nord della penisola, pittori e
miniatori si sono messi a seguire lo stile delle opere settentrionali, da cui prendono il
ritmo lineare.
Da queste influenze incrociate nacque un nuovo linguaggio formale, di cui si
percepisce abbastanza chiaramente le caratteristiche comuni sotto la diversità delle
modalità locali: quello che si definisce lo stile gotico internazionale. Questo carattere
internazionale dell’arte intorno al 1400 nasce in particolare dalla straordinaria
mobilità degli artisti, sempre più spesso stabiliti presso centri diversi dai loro luoghi
d’origine e di formazione. Parigi, dove arrivano artisti da tutti gli orizzonti, ha
particolarmente beneficiato di questo internazionalismo artistico, il cui caso più tipico
è fornito dai fratelli di Limbourg, olandesi si origine, ma fortemente italiani, e che
svolsero la loro intera attività presso la corte di Francia.
Le relazioni diplomatiche, i matrimoni, gli scambi di opere d’arte tracciarono nelle principali corti europee, come Parigi, Milano, Praga, Londra, Barcellona, ecc. delle linee che contribuirono all’unificazione stilistica dell’arte del tempo.
La corte di Francia
Durante il periodo angioino che corrisponde allo sfortunato regno di Carlo VI (1380- 1422), gli zii del re e i suoi parenti, a cominciare da suo fratello Luigi d’Orleans, competono nella ricerca di bei libri. Il principale mecenate è Giovanni di Francia, duca di Berry, che costituisce una delle più ricche biblioteche del tempo. Con lui gareggiava suo fratello Filippo, duca di Borgogna, suo nipote Luigi d’Orleans, Carlo VI stesso e altri. È questo clima di emulazione che ha permesso la fioritura senza precedenti della miniatura francese di quest’epoca, che favorì anche l’afflusso nella capitale di una grande quantità di miniatori di diversa origine, che contribuirono a rinnovare la tradizione artistica parigina, che tendeva ad affievolirsi in una ripresa di formule dell’epoca di Carlo V.
Jean de Berry sembra essere consapevole di questa situazione e così chiama degli artisti che non erano miniatori di professione. Così affida, poco dopo il 1380, l’illustrazione del suo Très Belles Heures de Jean de Berry (p. 106; oggi alla BNF; 290x205 mm; verso il 1400-1407) al migliore pittore dell’epoca, il Maestro del Paramento di Narbonne. Poco dopo è allo scultore Andrea Beauneveu che commissiona le figure in grisaille del suo Salterio di Jean Berry (p. 107; 250x177 mm; verso il 1386-1390). Ma l’artista prediletto alla fine del XIV secolo e all’inizio del XV fu Jacquemart de Hesdin, cui commissionò, dal 1390, il completamento del manoscritto con le Petit Heures (p. 112; 215x145 mm), lasciato incompiuto da Jean Le Noir, e cui commissionò anche il Très Belles Heures (p. 106) e le Grandes Heures (p. 108-111; 400x300 mm; 1409; oggi alla BNF). In tutte queste opere Jacquemart fa sfoggio di una grande padronanza nell’uso dei colori e nelle disposizioni spaziali dei suoi riquadri, padronanza che deve alla sua conoscenza della pittura italiana, senese in particolare.
I fratelli di Limbourg e il Maestro del maresciallo di Boucicaut
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Questa profonda assimilazione dell’insegnamento della pittura transalpina, la ritroviamo presso i più grandi miniatori francesi dell’epoca, che furono i fratelli di Limbourg, che succedettero a Jacquemart de Hesdin presso Jean de Berry, o il Maestro di Boucicaut. Ai primi dobbiamo tre dei più celebri manoscritti del tempo, una Bibbia moralizzata, le Belles Heures de Jean de Berry e le Très Riches Heures de Jean de Berry (p. 116-117; oggi a Chantilly; 290x210 mm; verso il 1415-1416). Nelle scene di ispirazione cortese del calendario di quest’ultimo manoscritto, i tre fratelli hanno saputo ricreare felicemente l’atmosfera del lusso e dell’eleganza che regnavano alla corte di Francia. Queste pitture valgono inoltre per la preziosità e il candore dei colori, in cui i Limbourg si mostrano influenzati dalla palette chiara e serena degli italiani, ai quali devono anche le composizioni. Il loro temperamento nordico spicca comunque nell’acutezza analitica della loro visione, nella precisione minuziosa del pennello e nel loro gusto per l’arabesco come principio dinamico di composizione.
Il Maestro delle Ore del maresciallo Boucicaut (p. 119; 274x190 mm; verso il 1410 a Parigi) è, insieme ai Libourg, il più grande artista della sua generazione. Al contrario di Jacquemart e dei Limbourg, tuttavia, non lavora mai al servizio esclusivo di un principe, ma sembra aver condotto una carriera indipendente, dirigendo una bottega molto attiva la cui produzione si orientava a una clientela molto diversa. Le sue opere rivelano un temperamento abbastanza diverso da quello dei Libourg: meno morbide nel disegno, le sue figure sono più di solidità monumentale. Egli, forse identificabile con un pittore di origine bolognese, è preoccupato dalla coerente rappresentazione dello spazio e dalla vibrazione dell’atmosfera. Le impaginazioni originali dei suoi libri d’ore hanno influenzato i suoi contemporanei, specialmente il Maestro del duca di Bedford.
Il Libro della Caccia (p. 120-121; 357x250 mm; verso il 1405-1410) di Gaston Phébus mostra l’unione, così caratteristica dello stile gotico internazionale, dell’idealismo cortese e dell’attenta osservazione della natura.
La frammentazione delle botteghe parigine
Questa brillante generazione di artisti fu trasmessa, dopo la dispersione dei Libourg nel 1416, da due eccellenti miniatori che continuarono fino al 1430 circa i modi dello stile cortese parigino. Il primo è il Maestro del duca di Bedford, così chiamato per i due superbi manoscritti, un libro d’ore e un Breviario di Jean duca di Bedford (p. 122-123; 255x175 mm; verso il 1424-1435), che realizza per lo zio del giovane re Enrico VI, che assunse la reggenza del regno di Francia durante la minore età del nipote all’epoca dell’occupazione inglese. L’arte di questo maestro appare come la combinazione di quello dei Libourg e del Maestro di Boucicaut: ai primi deve la sua pennellata stretta e minuziosa, il suo disegno fluido e armonioso; al secondo diverse composizioni e impaginazioni.
L’ultimo grande rappresentante dello stile gotico internazionale parigino è il Maestro delle Grandes Heures de Rohan (p. 124-125; 290x208 mm; verso il 1430-1435),
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artista il cui genio cupo e tormentato trova i suoi accenti più toccanti quanto descrive la miseria del destino umano, come p.e. la scena commovente del morto di fronte al suo giudice. La carriera del Maestro di Rohan è testimone della fine di questo periodo: dapprima installato a Parigi, dove ha subito l’influenza del Maestro di Boucicaut e del Maestro di Bedford, sembra avere poi legare la sua fortuna alla famiglia d’Angiò, esercitando da allora la sua attività ad Angers. Emigrato a ovest, il Maestro di Rohan è testimone di quegli artisti la cui diaspora contribuirà in modo decisivo alla rinascita della miniatura provinciale francese nel corso del XV secolo.
Le botteghe fiamminghe e olandesi
Parigi fu il crogiolo dove si incontrarono e fusero, in una lega particolarmente
raffinata, i diversi stili europei, dove la componente olandese fu una delle componenti
più importanti.
Malgrado l’esportazione verso Parigi e le altre capitali dei suoi migliori talenti, la
miniatura dei Paesi Bassi manifesta comunque sul posto la sua vitalità in opere di
incontestabile originalità e di grande seduzione, dove l’osservazione veridica della
realtà la porta verso la sofisticazione formale dell’arte cortese parigina.
A sud, le province belghe contano alcuni centri attivi, le cui produzioni presentano un
carattere di calorosa intimità, di spirito borghese, che ritroviamo nella pittura
monumentale dell’epoca.
Il naturalismo caratterizza i manoscritti miniati in quest’epoca in Olanda, come nelle
Heures de Marie de Gueldre (p.126; 181x134 mm; Paesi Bassi; 1415; abbigliata alla
francese in una veste blu dalle lunghe maniche e che fuoriesce dalla cornice; questa
immagine evoca i personaggi eleganti messi in scena dai Limbourg nel calendario
delle Très Riches Heures de Jean de Berry), dove troviamo comunque l’ideale
aristocratico.
L’orientamento seguito dalla miniatura dei Paesi Bassi incontrerà un immediato eco
nella Germania del nord ovest e del nord, dove i manoscritti presentano la stessa vena
naturalista, mescolata a sentimentalismo.
La corte di Praga e d’Inghilterra
Il contributo essenziale dei paesi dell’Impero alla miniatura di questo periodo è quello delle botteghe praghesi, la cui attività conosce il suo culmine sotto il regno del re Venceslao, figlio dell’imperatore Carlo IV e grande bibliofilo. Come vediamo in opere come il Tolomeo (p. 129; 410x305 mm; verso il 1400; manoscritto che fa parte della biblioteca di Venceslao I di Boemia; secondo un uso dell’epoca, gli emblemi personali del destinatario occupano un posto importante nella decorazione marginale, come la W), i miniatori della corte di Praga appaiono ormai liberi dall’influenza italiana, ancora così presente presso gli artisti della generazione precedente, e si sono dotati di uno stile nazionale. L’influenza di questo si farà sentire su tutta l’Europa centrale e porterà alla creazione, verso il 1410, di capolavori come la Bibbia di Corrado di Vechta.
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La fama delle botteghe boeme supera ben presto le frontiere dell’Impero, arrivando a centri anche lontani come Avignone e Londra. In Inghilterra l’influenza della miniatura ceca si spiega con il matrimonio del re Riccardo II con Anna di Boemia nel 1380. Questa influenza fu tuttavia di breve durata e ci sono dei miniatori di origini olandese o renana che, alla fine del secolo, arrivano alla corte d’Inghilterra. Uno di questi, Herman Scheerre, probabilmente originario di Colonia, ha sottoscritto diversi manoscritti, tra cui un Salterio-Libro d’Ore di Jean duca di Bedford, realizzato verso il 1420. Un altro fautore delle tendenze naturalistiche di questo stile di origine olandese è l’artista anonimo che collabora all’illustrazione di un messale carmelitano oggi alla British Library.
La nuova corrente naturalistica importata dal continente si tinge di eleganza cortese nelle opere di un altro miniatore seguace dello stile olandese-renano, il miniatore delle Heures de Beaufort (p. 130; 216x153 mm; verso il 1400-1410; la scena dell’Annunciazione si svolge in un’architettura fortemente rilevata; ai lati della scena sono inginocchiati i due destinatari del manoscritto); che poi raggiunge degli accenti quasi Limbourghesi in un nuovo capolavoro della miniatura inglese di quest’epoca, il frontespizio di un manoscritto di Chaucer, che rappresenta l’autore che legge i suoi poemi a una assemblea di nobili.
Le botteghe catalane
Il carattere aristocratico e internazionale dell’arte di quest’epoca appare altrettanto
chiaramente nei manoscritti miniati per due delle principali corti dell’Europa
meridionale del 1400 circa: Barcellona e Milano.
Nella miniatura catalana, dal 1380 circa si fa sentire uno slittamento progressivo che
porta da un fermo modello italianizzante, predominante fino ad allora, a graziosi
arabeschi dei disegni messi al gusto del giorno dalle botteghe francesi. Questo ritorno
dell’influenza settentrionale fu senza dubbio una delle conseguenze dirette dei
tentativi fatti dai sovrani aragonesi per attirare alla loro corte artisti franco-
fiamminghi. Due manoscritti illustrano questa evoluzione della miniatura catalana e
la sua conversione ai modelli dello stile cortese: il Messale detto di santa Eulalia (p.
134; 342x268 mm; oggi a Barcellona) realizzato per l’arcivescovo di Barcellona, e il
Breviario di Martino d’Aragona (p. 131-133; 350x250 mm), eseguito per il re
Martino d’Aragona verso il 1398-1405. In quest’ultimo le influenze italiane si sono
affievolite: le figure non sono più trattate in maniera plastica, ma con un grafismo
lineare caratteristico del gotico internazionale. L’influenza dei modelli francesi è
chiaro in questo manoscritto. Il breviario presenta comunque uno stile molto
personale sia nei colori sia nell’ornamentazione.
Il prestigio del gotico internazionale durerà fino alla fine degli anni 1430 alla corte aragonese, come testimonia il Libro d’Ore miniato da Bernardo Martorell (p. 135; 200x150 mm; verso il 1430), una delle espressioni più tardive.
La corte di Milano
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In Italia è il centro milanese che domina incontrastato, a partire dalla fine del XIV
secolo, la miniatura transalpina. Le opere uscite dalle botteghe milanesi portano l’arte
italiana a contribuire allo stile gotico internazionale. Questo ruolo importante di
Milano è dovuto sia alla sua importanza economica e politica, che alla volontà della
dinastia dei Visconti, soprattutto di Gian Galeazzo, il cui lungo regno (1380-1402)
coincide con uno straordinario sviluppo dell’attività artistica nella capitale lombarda.
La creazione di una università a Pavia, città dove venne collocata la biblioteca dei
Visconti, e la costruzione della cattedrale di Milano (il cui cantiere attirò numerosi
artisti) contribuirono a stimolare le botteghe lombarde, dove si elaborò uno stile, la
cui specificità fu molto presto percepita dai contemporanei, specialmente in Francia,
dove fu definita ‘opera dei lombardi’.
Alcuni miniatori furono influenzati dai loro predecessori degli anni 1380, Giovanni di
Benedetto di Como e il Maestro del Messale-Libro d’Ore della BNF (lat. 757), come
p.e. Anovelo da Imbonate. Nel Messale da lui eseguito in occasione
dell’incoronazione di Gian Galeazzo Visconti a duca di Milano nel 1395, l’artista dà
prova di una grande immaginazione ornamentale, privilegiando nelle decorazioni
marginali i motivi araldici e gli emblemi, come facevano nello stesso periodo i
miniatori di Jean de Berry e del re Venceslao.
Architetto, pittore e scultore, Giovanni dei Grassi, di cui conosciamo la carriera dal
1380 circa al 1398, è l’autore del capolavoro della miniatura lombarda di
quest’epoca, il Salterio-Libro d’Ore di Gian Galeazzo Visconti (p. 136-137; 250x180
mm; Lombardi verso il 1390; oggi a Firenze; il fondo a scacchiera è un motivo di
origine francese), la cui decorazione, interrotta dalla morte dell’artista, fu completata
circa mezzo secolo dopo da Belbello di Pavia. Nell’impaginazione ingegnosa e
innovativa di questo manoscritto, Giovannino riesce a liberarsi dai vincoli della
tradizione, suscitando con la sua visione fiabesca del mondo un incanto quasi
insuperato.
La stessa tendenza a trasporre la natura in maniera poetica si ritrova in altri
manoscritti lombardi del tempo, specialmente in diverse copie del Tacuinum sanitatis
(p. 138; verso il 1390-1400; in questo caso è molto marcato il carattere cortese e le
raffigurazioni botaniche sono qui più un pretesto per la rappresentazione di galanti
incontri), una raccolta di consigli di igiene domestica dedicata principalmente alle
virtù delle piante, di cui molte copie furono eseguite alla fine del XIV secolo.
L’arte delicata di Giovannino trova un proseguimento con le opere di suo figlio
Salomone dei Grassi e ancora con quelle di Michelino da Besozzo, pittore e miniatore
a cui dobbiamo la quintessenza dell’arte cortese in Lombardia: personaggi dalle
forme flessibili e ondeggianti e colori morbidi caratterizzano le miniature di questo
artista. L’utilizzo di un elemento floreale come elemento della cornice si ritrova in
altre opere del periodo, p.e. presso i Lombourg.
Magdalena Tracz
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